Fra cent’anni dovremo ricordarci di questi uomini. Ed officiare un riconoscente tributo per la loro opera. Perché quel futuro l’avranno costruito con il lavoro di oggi. L’AI avrà di che correre quanto vorrà nei filamenti delle fibre ottiche posate e innestate da questi uomini, con le loro nude mani, nelle nostre città, nelle nostre case, nella nostra vita.
Spesso mischiare concetto e significato nella più generica metafisica è sempre stata un’irresistibile tentazione di ogni editoriale o dibattito sul tema. Spendere qualche parola (qualche immagine) per spiegare il semplice lavoro manuale che è condizione indispensabile perché altre tecnologie poi si sviluppino e operino è doveroso.
Un operaio sopra una ruspa ha scavato un buco; qualcuno è entrato in quel buco per srotolare chilometri di rocchetti di cavi, tagliare e giuntare; qualcun altro poi ha chiuso il buco, magari con un badile; qualcuno è salito in alto su scale, trabattelli e montacarichi perché di lì il cavo non poteva passare interrato. Con il troppo caldo o il troppo freddo da patire, perché il lavoro doveva procedere di lena.
Infine, il tecnico delle comunicazioni avrebbe verificato che il segnale passasse veloce e indisturbato. Poi, tutto sarebbe stato affidato al monitor del programma di gestione della rete (chiamiamolo pure AI). Dopo.
Il progetto fotografico è durato tre anni: dal 2017 al 2019. Ho seguito i lavori di cablaggio nella città, nei quartieri. Ove capillarmente ogni cavo sarebbe arrivato dentro ogni casa.