L’odore non si fotografa. Ma quella sarebbe stata l’unica fotografia a ben rappresentare il mio “mal d’Africa”. Perché, ancora prima di infilare l’occhio nel mirino della macchina fotografica, fu l’odore di quella terra la prima travolgente sensazione appena vi poggiai piede.
Africa australe: dapprima Johannesburg in Sud Africa, poi Bulawayo in Rhodesia (oggi Zimbabwe). Un viaggio unico ed avventuroso come nessun altro ebbi poi occasione. Il primo reportage d’impegno.
Arrivai laggiù con una buona scorta di Kodachrome 64 e un’attrezzatura adeguata: due corpi macchina, set di ottiche dai grandangolari ai teleobiettivi.
Era l’estate del 1978. In Sud Africa vigeva l’apartheid. La Rhodesia era militarizzata ed assediata dai movimenti indipendentisti; che l’anno successivo avrebbero preso il potere sovvertendo il governo dei bianchi. Una situazione che non consentiva alcuna deroga in fatto di libertà di movimento.
Le macchine fotografiche dovevo tenerle nascoste, o fotografare senza essere visto; rischiavo il sequestro del materiale, o peggio. Il mio permesso era turistico, pertanto fuori dalle città non potevo recarmi se non accompagnato in gruppi organizzati.
Prudentemente accantonata qualunque ipotesi di fotocronaca, furono i personaggi con cui venivo in contatto a riempire i primi rullini. Poi i paesaggi da film documentaristi nelle rare escursioni consentite: il villaggio dei contadini, la maestosità delle Victoria Falls.