La serata di quel venerdì si stava trascinando come tante altre nella scontata inedia da svogliato esaurimento d’idee eclatanti, vagamente rivoluzionarie, minimamente divertenti o sensazionali di cui tra amici discutere; per cui agire.
Quando Roberto, di soppiatto, mi allungò uno strano involucro: “T’interessa?”. Una “cosa” chiusa in una custodia similpelle. Al primo sguardo ingombrante e macchinosa.
Dicendomi, lui non sapeva cosa farsene di quell’insulso regalo paterno. Se gli avessi dato settantamila lire me l’avrebbe ceduta. Con timore presi a girarla e rigirarla tra le mani.
Osservarla con crescente curiosità; intuendone meccanismi, movimenti, appendici. Dopo breve, riuscii ad aprire la botola scoprendo il vetrino smerigliato del visore con dentro l’inquadratura. D’improvviso il mondo mi apparve tratteggiato di inedite simmetrie.
Gli dissi: “Ok!”. Allora mi alzai, abbandonai l’ormai asfittica compagnia degli amici. Uscii sul viale Venezia che s’allungava deserto nella notte inoltrata, con la “cosa” grippata tra le mani.
A testa china sul pozzetto, camminando alla cieca avanti e indietro, incominciai a inquadrare e scattare. Benché nel caricatore non ci fosse alcuna pellicola. Si chiamava YASHICA MAT124G: la mia prima macchina fotografica d’impegno.
E Brescia, le sue strade, le sue periferie, la sua metamorfosi perimetrale e dell’anima di quegli anni, sono stati i luoghi dove ha avuto inizio la mia passione fotografica. Era la primavera del 1974. Un luogo e un tempo che non potevano non avere un tributo particolare.