Parigi e la fotografia, in quell’anno sabbatico che fu il 1979, furono una rara collimazione di passioni. E come spesso m’accade, da quei tempi remoti, la mia musa fotografica si esprime al meglio a braccetto ai miei sparpagliati innamoramenti. Siano essi indifferentemente imputabili a luoghi o persone.
Senza dubbio lo stato d’animo amplifica ed eccita la creatività della mia mente, che riversa in immagine fotografica quel che occhio vede attorno. Sicuramente con lenti deformate dalle emozioni. Un moto estetico che finisce inesorabilmente dentro la fotografia.
Arrivai a Parigi da Marsiglia. Ma fu nella capitale francese che il mio mood fotografico s’accese. Le esibizioni dei buskers davanti al nuovo Beaubourg: il mangiafuoco, mimi e suonatori. E gli spettatori di quegli spettacolini; a formare un inverosimile caleidoscopio di colori, volti, pose, espressioni dentro un continuo, frastornante scambio di ruoli attore-spettatore.
Colorati personaggi sullo sfondo verde intenso delle siepi e delle aiuole de Les Tuileries. E ancora il ritratto di quei tenerissimi innamorati “alla Peynet”, a loro insaputa, seduti sulle scalinate del Sacre Coeur. La Senna, grigia. Antica madre. Come lo è ogni fiume, o fiumara, che generosamente hanno lasciato crescere rigogliose sulle proprie sponde città, commerci, arti e amori.
Poi lei, la prima ballerina della “Ville Lumière”. Ogni qualvolta uscivo dal portone di Rue de Monttessuy, ove risiedevo, e giravo lo sguardo a destra, mi sembrava per davvero di udire l’incipit di un’orchestra, e lei che irrompeva da dietro le quinte d’un immaginario palcoscenico: la Tour Eiffel. Vestita dei suoi pretenziosi, mille merletti d’acciaio. Dalla silhouette mai banale; sempre in contrasto con qualunque cielo fondale. Rassicurante ago della bussola del mio solitario vagabondare per le cento vie della città.
L’interminabile stagione piovosa parigina non mi aveva fermato. Badavo al riparo delle macchine fotografiche; per me non portavo alcun ombrello. Usarlo, avevo il fondato timore di volermi schermire dalla mia esigente “amante”. Lasciavo la pioggia mi scorresse addosso. Libera come cadeva dal cielo.
Stavo riversando in quel frenetico passeggiare, per quei luoghi, lo sfogo delle prostrazioni dell’anima. Ma lei, “Paris ma belle”, sapeva annichilirle.