A fine anni Settanta ci andai ad abitare; in un piccolo appartamento condominiale al terzo piano in via Corfù. Agli inizi degli anni Ottanta avviai la mia attività, e in via Cipro affittai un decoroso ufficio. All’angolo di quella che si sarebbe chiamata, non appena rimosso di lì a poco il cantiere, via Aldo Moro. Al primo piano di uno dei nuovissimi palazzi che stavano ridisegnando lo skyline a sud della città, oltre la linea della ferrovia.
Era quella la nuova zona residenziale e direzionale, che in quegli anni stava nascendo ed espandendosi con avveniristiche architetture dove prima c’erano solo orti e campagna.
Si narrava della polemica per quando, anni prima, una lungimirante amministrazione pubblica costruì il cavalcavia Kennedy.
Un imponente manufatto, a scavallare la ferrovia, costituito da ben quattro corsie per autoveicoli, due marciapiedi e un rialzo spartitraffico al centro della carreggiata, la notte illuminato a giorno. Uno spreco di denaro pubblico i più dicevano, assolutamente incomprensibile … per un’inutile strada che andava a finire nei campi.
In realtà, appena giù dal cavalcavia Kennedy, nacque la “Brescia numero due”. Un infinito e poliedrico cantiere lungo trent’anni a modellare il nuovo quartiere.
Un piano urbanistico futuribile composto di accattivanti facciate tutto vetri e cemento offriva moderne dimore e funzionali spazi commerciali. Ampi e numerosi parcheggi asserviti da strade a più corsie, per un’invidiabile viabilità rispetto il congestionato centro storico.
Per la mia già avviata passione fotografica costituì subito motivo d’interesse immortalare la lenta ma inesorabile metamorfosi di quel luogo. Le vecchie cascine progressivamente abbandonate e diroccate, il verde dei campi sempre più assediato dalle nuove costruzioni, le ben allineate coltivazioni degli ortaggi sradicate.