Per queste fotografie non saprei dire se la loro ispirazione la traevo dal colpo d’occhio o dall’olfatto. Quale fosse dei due sensi l’istigatore allo scatto. Dagli “street-food” di Taipei e Shanghai, ai pittoreschi “floating market” thailandesi, girovagando dentro viuzze e mercatini affollati all’inverosimile. Pregni di odori e sensazioni inusitate. E incredibili tavolozze di colori.
Allora la mia curiosità prese metodo, a osservare/fotografare chi cucinasse, chi si cibava, chi vendeva cibo. Entrare di soppiatto nei luoghi dove i cibi venivano preparati e consumati. Le forme del cibo era un’altra ipnotica attrazione; come ogni cosa che era lì, così lontana e inconsueta rispetto le nostre abitudini. Ma anche i venditori di tante altre cianfrusaglie di ogni tipo e ipotetica necessità.
I mercati all’aperto, ovunque, ma in particolare in oriente, sono il palcoscenico migliore per raccontare usi e costumi delle genti del luogo. E il cibo, non credo ci sia altra cosa che fissa la più schietta impronta identitaria di un popolo: autentico “genius loci”. Ne emergeva uno spaccato di umanità bulimica.
E per le genti che ho incontrato nel mio viaggio era evidente, il loro tempo era scandito dai ritmi basati sulla continua, quasi compulsiva assunzione di cibo. Ad ogni ora del giorno e della notte.