«Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.» (Italo Calvino – Le città invisibili)
Credo rappresentino il grande orgoglio cinese: la Jin Mao Tower alta 375mt, la Shanghai Tower 637mt e la World Financial Center 492mt. O perlomeno, vengono mostrate volentieri come tale all’obiettivo del fotografo occidentale.
Questa è stata una delle maggiori sorprese del mio viaggio: incredulo a Shanghai ho incontrato la «Manhattan» d’oriente. Al cospetto di maestosi skyline avevo capito il mio reportage fotografico non poteva prescindere dalle mirabolanti forme geometriche delle torri, dei grattacieli innalzati a migliaia in pochi decenni di gentrificazione.
Un proscenio ininterrotto che mi sorprendeva dietro ogni angolo, ovunque lo sguardo si orientasse, all’areale di un incrocio stradale: dalla “FFC Former French Concession” a Pudong, attraverso Jing’an e Huangpu.
Dice bene l’architetto Yona Friedman «… È come nel teatro, la scenografia è importante […] ma quando si parla dello spazio nel senso dell’architettura, lo si percepisce come se fossimo degli animali che sentono anche ciò che non vedono, per esempio quello che sta sopra, sui tetti.»
Ecco, allora ho fortemente voluto il mio sguardo si distogliesse dallo spazio omologato, ad altezza delle persone e delle cose, a livello stradale. Ed ho lasciato egli si librasse negli anfratti tra un grattacielo e l’altro, quanto voler scorgere il cielo dal fitto di un’abetaia. Per riconoscere un luogo anche dai suoi profili notoriamente invisibili.