Andrea Calestani Photographer

Numb

Perché quel bambino, in fila, paziente, che leggeva un libro (di carta!) mi colpiva così tanto? Una sottile percezione: il normale trascendeva nell’eccezionale, come a volte spesso accade senz’accorgersene. Ma la fotografia è ostinata testimone delle nostre sequenze visive, spesso sfuggenti e presto derubricate. Mi guardavo intorno e fotografavo, e in effetti la normalità era qualcos’altro. Un’alienazione virtuale social che permea ogni aspetto dello scorrere quotidiano: comunicazione, socialità, salute pubblica, fede secondo i diffusi principi del confucianesimo e del taoismo.

Le mascherine sul volto; la compulsiva ossessiva pervicacia calamitata sui dispositivi elettronici individuali; l’affettazione dentro i templi e davanti agli altarini incuneati negli angoli più nascosti delle vie a chiedere indulgenze. Una generale condotta delle persone che presto mi indusse a riflettere su una specie di “anestesia” collettiva. Nessuna relazione verbale: nessuno usava il telefonino per parlarci. In metropolitana, curioso, allungavo il collo per sapere cosa facessero incollati a quei telefonini: chattavano, giocavano, guardavano serie ed eventi sportivi. Sembianti relazioni della vita reale spostate nelle intangibili “nuvole” del web.

Quando ho scattato queste fotografie mancava un mese e mezzo al trentesimo anniversario dei fatti di Piazza Tienanmen. Ricordo bene le immagini che i media rimbalzavano all’epoca dei fatti: di un popolo orgoglioso, che esprimeva con tutta la sua forza un desiderio inalienabile di libertà ed autodeterminazione. Ecco, il popolo che stavo incontrando e osservando non era lo stesso popolo di allora, mi dicevo. E il sospetto si rafforzò quando la guida del tour a Pechino, per arrivare alla “Città Proibita”, aggirò Piazza Tienanmen; infondendo la percezione quello, dopo trent’anni, fosse un luogo tabù.

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