Igino non l’avevo messo in posa. Non si era messo in posa. Era quello il suo momento di gratificazione per la fine della lunga giornata lavorativa nei campi. Era l’imbrunire. Aveva appena rassettato la lettiera delle mucche, l’ultimo lavoro del giorno prima di chiudere la porta della stalla dopo avere riempito a dovere la greppia delle bestie, averle munte. Il camioncino del casaro era appena andato via dopo avere raccolto il latte dell’ultima mungitura. La schiena dolente appoggiata al muro della casa. Per miglior ristoro una “alfa” senza filtro in bocca da aspirarne lunghe volute, lentamente. Quel che di più economico si poteva concedere in fatto di vizio. Raramente passava suo cognato di città che gli portava un pacchetto di “nazionali”.
Igino era un mezzadro. Era scampato alla drammatica esperienza della Campagna di Russia. Tornato a casa, fu subito convinto comunista. Irragionevolmente, si sarebbe perennemente ostinato a magnificare e portare a modello di organizzazione sociale la misera vita in quei paesi all’epoca del blocco Sovietico. Se il raccolto nei campi sarebbe stato scarso, o la pioggia, o la siccità, o il freddo e il caldo fossero stati fuori misura; o la mucca non faceva latte, o per qualunque altro accidente gli poteva capitare nella sua vita, era sempre colpa (in rigoroso ordine): dei Padroni, del Vaticano e degli Americani. Per principio.
Dedito ai lavori nei campi per l’esatta misura del tempo e delle stagioni, e poco altro. Andava in paese di rado: per le feste comandate e la sagra di Ferragosto. Ma non mancava mai i comizi del P.C.I. per la rivendicazione dei patti agrari e la “giusta causa”. “L’Unità” gliela recapitavano sul cancello dell’aia puntualmente ogni domenica.
Correva l’anno 1976 quando ho scattato questa fotografia in un casolare della campagna pedemontana della provincia di Parma. Un bel esempio di quel che intendo di quanta storia c’è dentro un ritratto fotografico. Spesso ho invidiato i coraggiosi fotoreporter che valicano mondi lontani per ritrarre, documentare. Poi mi consola che anche a pochi metri da noi ci sono tante storie di cui comunque vale sempre la pena raccontare e fotografare.